Tra formalità e informalità

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Prima dell’email, nelle aziende i rapporti tra colleghi, tra capo e collaboratori, si basavano sul “vai e parla”, oggi sul “leggi e scrivi”. Non che non ci si veda, tutt’altro, ma l’email ha sicuramente rafforzato il ruolo della parola scritta.

Ci incontriamo in corridoio, accenniamo a un progetto, a una proposta e uno di noi invariabilmente conclude con un “Va bene, ne parliamo, ma perché intanto non mi mandi un’email?”.

E così dopo una telefonata: parliamo di mille cose, ma poi mettiamo ordine e sintetizziamo tutto in un’email, che magari mandiamo per conoscenza anche al nostro capo: “Come ci siamo detti oggi al telefono… come da accordi telefonici intercorsi…” e l’email diventa il verbalino della telefonata, il promemoria per i futuri impegni.

Tutto prende forma nella scrittura, di tutto resta traccia. Non possiamo più dire “Non ho capito”, “Non c’ero”, “Sei proprio sicuro di avermelo detto?”.

Sembra un paradosso: nelle email, soprattutto quelle interne, adottiamo uno stile che assomiglia sempre più al parlato, fatto di abbreviazioni, minuscole, battute, segni grafici, ma di questa trascrizione del parlato resta sempre traccia, nel nostro pc o in quello di qualcun altro, pronta a saltare fuori in qualsiasi momento. Quindi: attenzione a ciò che scriviamo e a come lo scriviamo.

Ma si può scrivere davvero all’amministratore delegato?

Certo che sì, ci mancherebbe altro. Ma con qualche attenzione. Bill Gates si vanta di leggere personalmente ogni messaggio che gli arriva dai dipendenti della Microsoft, e probabilmente è vero.

L’email è un buon canale di comunicazione con il vertice aziendale, ma da centellinare e da usare quando avete davvero qualcosa di importante da dire: una proposta di miglioramento organizzativo, una nuova idea, un feedback a una videoconferenza o a un discorso. Siate seri, brevi, concreti.

Fate naturalmente attenzione a non saltare in maniera maldestra il vostro capo diretto. Parlatene anche a lui, mettetelo per conoscenza, se siete in buoni rapporti. Se non lo siete, scrivete comunque e prendete i vostri rischi.

Non farsi prendere la mano

C’è sempre il rischio di esagerare nell’invio di email, con conseguenze negative sull’attenzione di chi le riceve. Non solo, ma privilegiare troppo la comunicazione indiretta può peggiorare la relazione tra il capo e i suoi collaboratori. Tutte le informazioni che è opportuno non scrivere o che comunque non  si scrivono e, magari, non si verbalizzano, restano non dette e quindi perse.

Certi messaggi importanti vanno trasmessi guardandosi negli occhi, per verificare la comprensione, ma anche per rafforzare il rapporto di fiducia, la relazione con una persona, cliente o collaboratore che sia. Se la distanza fisica impedisce l’incontro, è preferibile la videoconferenza o almeno il telefono, strumento che consente comunque più confidenza.

La posta può semplificare la comunicazione quando già esiste un rapporto solido tra mittente e destinatario, ma non può in nessun modo surrogare i gradi di conoscenza raggiungibili solo attraverso il vissuto di un’esperienza comune, gomito a gomito, lavorando per conseguire lo stesso obiettivo.

Scegliere uno stile di comunicazione

Nella scelta dello stile di comunicazione il messaggio email deve seguire le regole definite anche per altri tipi di messaggio: maggiore formalità con destinatari sconosciuti o verso i quali è opportuno un maggior riguardo, comunicazione “alla pari” all’interno della propria azienda, assoluta informalità con i collaboratori più stretti.

Per capire meglio come risolvere il dilemma “essere o non essere formali” conviene partire dalle caratteristiche strutturali del messaggio di posta elettronica. Proviamo ad analizzarle:

  • A differenza del colloquio interpersonale o telefonico, non prevede interazioni: chi scrive può esprimere senza interruzioni tutto quello che intende dire, ma non può correggere tono e contenuto sulla base delle reazioni dell’interlocutore.
  • Utilizza una sola forma di comunicazione, quella scritta, mentre il colloquio diretto e quello telefonico consentono di attivare diversi canali oltre quello strettamente verbale (non verbali: attraverso le espressioni del volto, gli sguardi, la gestualità, la postura; basati sul tono della voce, sull’umore che traspare dal tono, sulle pause tra una frase e l’altra, sulle interruzioni dell’interlocutore, sulle modalità di interazione).
  • Può essere strutturato liberamente mettendo in risalto in vari modi (uso del grassetto, del corsivo, degli spazi, delle sottolineature) quello che ci interessa evidenziare.
  • Può essere rivisto e modificato fino all’ultimo momento prima dell’invio.
  • Una volta inviato non è modificabile, lascia una traccia indelebile e soprattutto non controllabile.
  • Arriva subito: se il destinatario è in rete ne può prendere visione immediatamente e, magari, rispondere.
  • Può essere riletto molte volte dal destinatario.
  • E’ un documento. Anche a distanza di tempo testimonia un nostro comportamento, un’opinione, una può perfino essere usato contro di noi.

Quindi:

  1. Con il vertice aziendale, amministratore delegato, diretto generale, direttori centrali: se, come molto probabile diamo loro del lei, possiamo iniziare con un “Gentile Ingegnere”, “Gentile Rossi”, ma risparmiamoci il Suo e il Le con le maiuscole. Scriviamo in maniera formale e rispettosa, ma non burocratica e tantomeno troppo ossequiosa. Esponiamo sinteticamente e con chiarezza il nostro pensiero o diamo l’informazione richiesta, per concludere con un semplice “La saluto cordialmente”.
  2. Con i nostri colleghi: se si tratta di persone con cui siamo in confidenza e non mettiamo troppe persone per conoscenza, informalità assoluta, altrimenti – soprattutto se stiamo chiedendo una cortesia o attenzione – informalità molto
  3. Con il capo: va bene tutto, dipende dal tipo di Il linguaggio e i toni giusti li si trovano nel tempo, comunicando e lavorando insieme. L’importante è capirsi e rispettarsi. Se il vostro capo scrive come parla e voi siete invece un tipo formale, non offendetevi se vi sembra brusco, sciatto, se non usa le maiuscole e non vi chiede le cose per favore.

Scrivere a chi non si conosce personalmente

In generale, scrivere a persone che non conosciamo richiede maggiore formalità e attenzione nella scelta delle espressioni, del tono e del lessico, evitando un’eccessiva confidenza. Le circostanze in cui avviene la stesura di un’email sono anche stavolta decisive. Lavorare per un obiettivo condiviso o rivolgersi a un cliente sono due situazioni molto diverse che richiedono comportamenti e toni diversi.

Nel primo caso ci si rivolge a un collega, non importa se della stessa azienda o di una società occasionalmente partner. Passare al tu è quasi d’obbligo.

Con un cliente o un partner che non si conosce personalmente è d’obbligo invece il rispetto di alcune regole, la discrezione, il tono formale (ma senza essere troppo inamidati), evitando per quanto possibile di richiedere risposte entro un dato termine.

L’email in questo caso non è molto diversa da una lettera su carta e, quando supera una certa lunghezza (più di 20 righe) conviene trasformarla in un documento allegato.

Quest’ultima operazione può risultare opportuna anche in altre circostanze, ad esempio quando si vuole evitare che il messaggio venga facilmente letto da altri (la segretaria del destinatario), ovvero per favorire l’archiviazione del suo contenuto da parte di chi lo riceve.

L’attenzione in certi casi non è mai troppa - bisogna ricordare sempre che non conosciamo il nostro interlocutore – e va estesa alla scelta delle persone cui inviare, per conoscenza, il messaggio. Coinvolgere troppi destinatari o scegliere quelli sbagliati può compromettere l’esito delle nostre azioni.

Molto meglio preannunciare una telefonata per chiarire i dettagli non esprimibili per iscritto, ovvero proporre con discrezione un incontro.