Tra funzionalità ed emozioni

Tra funzionalità ed emozioniTutti amiamo l’email per la sua facilità e la sua leggerezza: le parole corrono veloci dalla testa alle dita, allo schermo… un click e partono verso il destinatario. Ci sembra di riuscire così a essere terribilmente efficienti e produttivi, a rispondere a tutti in pochissimo tempo, a dispensare consigli, informazioni, dare ordini, prenderne.

Ma le parole non portano con sé solo informazioni e dati. Portano le nostre emozioni, tradiscono le nostre opinioni, i nostri pregiudizi, la nostra mancanza di attenzione verso l’altro e i suoi problemi. O, al contrario, la nostra vicinanza, il nostro interesse. Anche nell’ambiente di lavoro, che è prima di tutto una  comunità di persone che vivono e lavorano insieme per gran parte della giornata.

L’email non trasmette sguardi, gesti, tono di voce, sorrisi, battiti di ciglia, pacche sulle spalle, respiri sereni o affannati.

Per questo dobbiamo imparare a curare il “tono” delle nostre email quanto la correttezza dei contenuti.

Le email si scrivono, ma si leggono anche, di corsa. L’equivoco, l’offesa involontaria, sono sempre in agguato. E possono danneggiare il rapporto tra colleghi, minare la fiducia tra capo e collaboratore, compromettere un progetto importante.

Verbale e non Verbale

Diamo sempre molta importanza ai contenuti e alle informazioni, ma quello che conta è soprattutto il “come” diciamo o scriviamo le cose.

In una conversazione, per esempio, il 90% dell’impatto comunicativo è non-verbale, così suddiviso: 60% linguaggio del corpo, 30% tono di voce. Ai contenuti resta un povero 10%.

Le formule di saluto

L’avvio di una relazione, il tono della comunicazione, la buona predisposizione da parte del destinatario: a determinarli è spesso l’incipit di un’email. D’altra parte quello della formula di apertura è uno tra i problemi più sentiti, un imbarazzo spesso tradito da formule un po’ ibride e anche buffe quali “Salve!”, “Buongiorno”…

Non esistono, naturalmente, formule buone per ogni occasione, ma una regola di buon senso vuole l’email rispettosa e attenta quanto una lettera di carta, salvo una “temperatura emotiva” più calda di almeno un paio di gradi.

Quindi:

  • al collega che si conosce bene o al capo col quale si ha un rapporto di discreta dimestichezza: Caro Marco, Cara Barbara, oppure soltanto il nome di battesimo seguito dalla virgola, o ancora “Ciao Ettore, …”
  • al collega visto un paio di volte, ma sentito per telefono: Francesco, … Caro Rossi, ….
  • al professore universitario che si invita a un convegno: Gentile Professor Bianchi, la prima volta; ma dopo una telefonata o un primo scambio di email si può passare al “Caro professore”
  • all’amministratore delegato o al presidente: Gentile Ingegner Francisci, …
  • al fornitore: Caro Rossi, Gentile signora Mirella, …
  • a un gruppo di colleghi: Cari colleghi, Ciao a tutti.

Ognuno risponde positivamente quando è chiamato col nome di battesimo, quindi pensiamo sempre all’opportunità di usarlo:

Marzia, oppure Cara Marzia,

Se ci rivolgiamo a colleghi che conosciamo poco o che probabilmente non si ricordano di noi, usiamo sempre il nome di battesimo, diamo del tu, ma presentiamoci e usiamo un tono cordiale, ma più formale, nonché una formattazione curata.

Il criterio “termico” vale per le chiusure, meno formali e più amichevoli di quelle classiche di una lettera su carta. “Grazie davvero: la tua collaborazione è stata preziosa.

Un caro saluto e a presto”.

“Grazie, come sempre, per la sua precisione e sollecitudine. La saluto cordialmente”.

“Spero proprio di incontrarla presto personalmente. Intanto la ringrazio e le invio i miei auguri per un anno di serenità e soddisfazioni”.

“E’ stato un piacere conoscerti e collaborare con te. Grazie di cuore”.

In questo spirito, vanno abolite le maiuscole di Lei, Le, Voi, Vi, Vostro, Suo… a meno che non stiate scrivendo a un ministro, un ambasciatore, un vescovo o a chiunque esiga un forte rispetto dell’etichetta e della formalità.

La posta elettronica invita alla confidenza e all’informalità, a volte troppe. Così nelle formule di saluto è invalso l’uso di inviarsi abbracci e baci. Cosa abbastanza naturale con colleghi con cui c’è molta confidenza e magari anche un rapporto amicale, ma un po’ ridicola con persone che magari abbiamo visto una sola volta.

Da evitare assolutamente se mettiamo altre persone per conoscenza. Meglio un semplice “Ciao, a presto”.

Emozioni in tastiera

Gli emoticon non sono sfizi da fanatici, ma aiuti utilissimi per far capire al destinatario del messaggio il nostro stato d’animo.

Basta non esagerare con quelli strani e incomprensibili, ma un sorriso :-), un dispiacere :-(, un occhiolino 😉 possono rivelarsi indispensabili per mitigare un giudizio un po’ duro su un lavoro, una battuta sarcastica, un messaggio sbrigativo.

Io, tu, noi

Il “calore” di un’email lo fa anche l’uso dei pronomi personali, invece di espressioni passive, impersonali, asettiche. Questo vale nei rapporti tra colleghi, ma anche nella comunicazione interna, quando è l’azienda che comunica ufficialmente con i dipendenti. E’ meglio scrivere: "Da oggi c’è un nuovo servizio per te: il cedolino dello stipendio online sull’intranet aziendale.” invece di “A far data da oggi, tutti i dipendenti potranno scaricare il cedolino dello stipendio dalla sezione Risorse Umane dell’intranet aziendale.”

E ancora, meglio:

“Cari colleghi, siete tutti invitati a un incontro per fare il punto sulle nostre attività. Vi aspetto martedì prossimo, 10 aprile, alle 9.30 in Auditorium. Vi allego l’agenda, in modo che possiate già farvi un’idea dei temi che tratteremo. Se ne avete di nuovi, segnalatemeli pure. A presto, grazie a tutti per la collaborazione.”

invece di:

“Si comunica che tutti i dipendenti facenti capo alla struttura Marketing & Communications sono convocati per una riunione martedì prossimo, 10 aprile, alle ore 9.30 presso l’Auditorium. Pregasi confermare partecipazione, grazie.”

Un linguaggio comune

Se usiamo lo stesso linguaggio, ci predisponiamo a capirci e a entrare in relazione. Gli studiosi di Programmazione Neurolinguistica ce lo insegnano: respira come il tuo interlocutore, muoviti come lui, usa lo stesso tono di voce, lo stesso lessico. Ti metterai naturalmente sulla sua lunghezza d’onda, che è poi la premessa per capirsi.

Nell’email ci sono solo le parole, per cui è su di esse che dobbiamo trovare un terreno comune. Questo non vuol dire appiattirsi sullo stile e sul tono dell’altro, ma leggere oltre i dati e le informazioni. Il vostro interlocutore è sbrigativo? Gira intorno ai problemi? Ha scritto la sua mail con attenzione o l’ha buttata giù di corsa? Chiede anche il vostro parere o afferma perentoriamente il suo? E come vi saluta?

Sono tutti indizi che vi svelano con chi avete a che fare. Indizi utili soprattutto nei casi di comunicazione difficile. Abituiamoci a decodificarli.

Insomma, “ricalcare” e “guidare” il nostro interlocutore significa non contrapporsi in maniera diretta alle sue ragioni, ma riconoscerle in ciò che hanno di vero e condivisibile, per creare il terreno di intesa e portarlo verso le vostre, di ragioni. Facendo proprio anche il suo linguaggio, usando il “noi”, facendo ricorso a congiuntivi e condizionali piuttosto che ai più assertivi ma definitivi indicativi, scaldando il testo con “caro”, “grazie”, “ciao”.

Nervi saldi, testa a posto

Se leggendo un messaggio vi va il sangue alla testa, vi irritate, vi imbestialite, non sfogatevi sulla tastiera rispondendo all’istante. Fermatevi, oppure – se vi aiuta – scrivete pure, ma poi mettete il messaggio nella cartella “Bozze”. Dormiteci su.

Avrete pure ragione da vendere, ma rispondere a caldo è sempre sconsigliabile. Ricordate che:

  • i messaggi email, una volta inviati, non si controllano e non si cancellano
  • possono essere girati ad altri, anche a vostra La rabbia genera rabbia, soprattutto via email; per chiarire,

meglio una litigata “in presenza”. E se non vale la pena chiarire, anche il silenzio può essere un’ottima risposta. Di certo è la migliore se sfortunatamente “inciampiamo” in qualche persona sgradevole o maleducata.